La storia di Palazzo degli Abati

Intorno all’anno Mille: viene scavata dentro un costone roccioso la chiesa di San Pietro a Matera, nella vallata del Sasso Barisano.

1467: Papa Paolo II attribuisce il diritto di patronato sulla chiesa e i suoi beni a Matteo Ciminelli: San Pietro Barisano diviene così una “chiesa ricettizia” provvista di Capitolo per l’amministrazione e Ciminelli acquisisce il titolo di “Abate”. Le chiese ricettizie sono una figura tipica dell’Italia Meridionale: avevano il compito di gestire cospicui patrimoni immobiliari e produttivi, erano provviste di un consiglio di amministrazione (il Capitolo) nominato non dalla Curia ma dalle famiglie nobili con diritti di patronato, e a capo del capitolo era posta la figura dell’Abate. Era una sorta di Società per Azioni: le rendite infatti erano divise proporzionalmente ai partecipanti. La famiglia Ciminelli ha gestito la chiesa per oltre due secoli con numerosi abati, seguita dalla nobile famiglia dei Venusio.

1755: la nomina dell’Abate e la gestione della chiesa passano alla maggiore famiglia nobile della città di Matera: i conti Gattini.
Questi attuano un importante rifacimento alla chiesa, ricostruendone interamente la facciata, ponendovi l’elegante rosone quadrilobato e dotandolla-rondine-che-fa-primaveraa di uno slanciato campanile. Di fianco alla chiesa e in comunicazione con questa, viene costruito dagli stessi Gattini il Palazzo degli Abati, con sontuosi ambienti per la dimora dell’Abate del Capitolo e pratici ambienti di servizio (cucine, stalle, cisterne, depositi).

1867: con la legge n.3848 il giovane Stato Italiano decreta l’abolizione delle chiese ricettizie e l’incameramento del loro patrimonio. La chiesa di San Pietro Barisano viene spogliata di 48 abitazioni, 5 frantoi, 27 terreni di cui 13 vigne, 2 “avucchiare” per la produzione di miele e cera, e il Palazzo degli Abati. Qui dimorava l’ultimo Abate: don Nicola Scivizzero. Il Palazzo, insieme a tutti i beni della chiesa, fu messo all’asta dallo Stato. All’asta partecipò lo stesso abate don Scivizzero, che riuscì ad aggiudicarselo: comprò all’asta lo stesso Palazzo dove abitava.

1883: Naturalmente, come Abate, non poteva avere figli, così l’intera struttura passò in eredità a sua sorella Grazia Scivizzero. Da allora, di generazione in generazione, il Palazzo si è tramandato in eredità fino agli attuali proprietari. Ma la sua vita non è stata sempre facile. Ad ogni passaggio di proprietà il Palazzo era suddiviso fra gli eredi, così nel Novecento risultava essere ormai abitato da 10 famiglie: una per ogni ambiente della struttura, ivi compresi gli ambienti inizialmente nati come depositi, cisterne o cantine. Era il periodo più povero della plurimillenaria storia di Matera: i contadini abitavano in città, ed erano costretti ad ore di marcia per raggiungere i campi, ormai di proprietà di grandi latifondisti, e questo causò un’alta densità abitativa e spesso la coabitazione con il mulo, utile anche per gli spostamenti verso i campi.

1952: le dieci famiglie che vi abitavano, quasi tutte legate da vincoli di parentela, erano facilmente indicate con i soprannomi in dialetto materano, come d’uso all’epoca: Cudd’ngsset, Quaparraun, Bamm’n, Senza nidd, Uì Momm, Martnas (l’attuale Reception), Zannaun, Maiustr, Iongiacit, Czzlaun. In quell’anno il Parlamento emana la legge 619, con la quale si decreta lo sfollamento coatto dei rioni Sassi. Le dieci famiglie che abitano il Palazzo, come tutte le altre che abitano nei rioni Sassi, devono lasciare la propria abitazione. Possono avere una nuova casa popolare dallo Stato, che espropria la vecchia abitazione, oppure possono acquistare una nuova abitazione, restando proprietari della vecchia casa nei Sassi. Delle dieci famiglie, solo una non accetta una casa popolare e mantiene la proprietà dell’abitazione: Cudd’ngsset.

Per 60 anni il Palazzo è in stato di abbandono, come gli interi rioni Sassi. Viene parzialmente occupato da abusivi, che ne fanno depositi e magazzini.

1983: Arredi e suppellettili sono oggetto di furti e due ambienti subiscono un violento incendio, quando un gruppo di giovani li usavano come luogo di ritrovo.

1986: finalmente, con la legge speciale per i Sassi 771, si decreta la rilevanza nazionale dei Sassi e si incentiva il ripopolamento dei rioni. Ora è possibile tornarvi e lo Stato può concedere i beni demaniali a titolo gratuito a chi li ristruttura.

2007: Vita Maria Andrulli, nipote di Cudd ‘ngsset chiede allo Stato l’autorizzazione a cominciare i lavori di recupero e la concessione dei beni demaniali confinanti, cioè la ricostituzione del Palazzo. L’intero piano nobile, composto da sei ambienti, viene concesso per 99 anni in cambio del restauro, che comincia nel 2011.

2013: il Palazzo torna al suo vecchio splendore. L’attento recupero ha lasciato inalterati i segni del tempo, ed ha restituito le volte decorate, il pavimento originale in cotto e la salubrità agli ambienti scavati. La struttura, oggi composta da cinque ampie suite e dalla Reception-Sala Colazione, ha aperto al pubblico nel mese di agosto 2013, pronta ad affrontare nuovi capitoli della sua storia.